Sigalini: le prospettive pastorali

Sigalini: le prospettive pastorali

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Abbiamo iniziato un triennio di riflessioni a 50 anni dal Concilio, non per ripetere letture già fatte sulle costituzioni, ma per studiare quanto le abbiamo concretizzate nella vita della Chiesa e dei cristiani oggi e come dobbiamo ancora lavorare pastoralmente per realizzarle e per apprezzare i doni grandi che Dio ci ha fatto. Iniziamo dalla Dei Verbum, che ha riportato al suo posto centrale il formidabile dono di Dio che è la sua Parola. La poniamo al centro delle nostre riflessioni e ne vogliamo cogliere sia la provocazione generale sia vederne le applicazioni concrete nella vita degli uomini.

Parola e parole, logos e dialogos

La Parola di Dio è un rapporto profondo costitutivo tra logos e dialogos. Il logos non è solo pensiero e senso, ma anche colloquio tra persone che parlano tra loro. A questo riguardo veniamo da un esilio della parola, sia per la nostra grande incomunicabilità, per la solitudine in cui è chiuso il cittadino globale, sia per aver per tanti secoli impedito il contatto diretto con le sacre scritture alla maggioranza dei fedeli. Oggi questo è superato, ma non è ancora sciolto il problema della comunicabilità, della credibilità della comunità cristiana e dell’apprezzamento quotidiano della Parola di Dio in ogni vita di persone e di comunità.

Nello stesso tempo nella nostra Europa siamo quasi a cinquecento anni da quando è iniziato l’esilio del dialogo, con le scelte dei luterani, degli evangelici. Anch’essi sono apportatori di frammenti di verità rifiutati spesso perché è obbligatorio pensare, come sentimento immediato. che il cattolicesimo è vero perché il resto è falso.

Riprendere la parola significa riprendere il dialogo in tutti i sensi, con gli uomini, con la società, con il mondo, con le altre forme di cristianesimo, con le altre religioni. Sentirsi cristiani prima che cattolici, luterani, valdesi e partire da ciò che ci unisce: la parola di Dio e il battesimo.

Occorre uscire da una persistente sacramentalizzazione selvaggia, da gesti rituali pagani, ancora di carattere magico-sacrale. Il cristianesimo non è una religione rituale, ma è chiamata a compiere gesti mentre dice parole. Fare e studiare, agire e pensare non sono mai in alternativa.

La Parola di Dio che abbiamo messo al centro della vita cristiana ha una sua forte sacramentalità, che

• in primo luogo si svela nella creazione risultando quindi più ampia del rapporto con le stesse scritture. I cieli narrano la gloria di Dio. La creazione è il luogo in cui si sviluppa tutta la storia dell’amore tra Dio e la sua creatura …(DV9). Dio nella creazione offre agli uomini testimonianza di sé. Papa Benedetto ci ha aiutato a leggere l’unica intelligenza originaria che si svela nella corrispondenza profonda tra la nostra ragione soggettiva e la ragione che è oggettivata nella natura, come a dire più semplicemente: se l’uomo trova così intelligente l’organizzazione del cosmo (cfr leggi matematiche e fisiche) non è che in esso c’è traccia di una intelligenza più grande creatrice del cosmo? Inoltre siamo messi in difficoltà anche perchè abitiamo una natura lacerata e ci dobbiamo assumere come cristiani le nostre responsabilità nei confronti della natura, una responsabilità ecologica, come lo devono fare tutti gli uomini, come ci ricorda fin dall’inizio del suo servizio petrino papa Francesco.

• La Parola di Dio si svela nelle relazioni tra gli uomini. Dio con la sua Parola cerca l’uomo e gli uomini nella loro vita, nelle relazioni tra loro, nelle loro parole. Gli uomini sono portatori di infinito con la loro capacità di ascolto e di interpretazione delle tracce dell’infinito che c’è in ciascuno di essi. Le stesse parole degli uomini, le loro vite, le loro interazioni, le loro storie sono in dialogo con la Parola e la rendono comprensibile, attuale, capace di una sua nuova interpretazione e attuazione.

• Questo meraviglioso intreccio tra gesti e parole culmina con l’alleanza che prepara il vangelo e la Parola viva di salvezza che è Gesù Cristo. In principio era il logos cioè un legame, siamo collegati e non dobbiamo esserlo solo superficialmente. Ogni nostra emozione deve diventare affetto, legame.(Lorizio)

Dalla contemplazione di questo grande dono che è la Parola e di questo primario impegno che è il dialogo in tutte le sue espressioni entriamo nelle specificità della nostra ricerca.

 

La Parola di Dio è entrata nella vita quotidiana della chiesa e del cristiano.

Una presenza massiccia della Parola nella vita quotidiana delle comunità cristiane è del tutto evidente. L’esilio della Parola è finito, almeno come contenuto. Da un lezionario delle liturgie poverissimo, usato prima del Concilio, oggi ne abbiamo 3 per i giorni festivi, 2 per i giorni feriali. La Bibbia è distribuita e accolta con una discreta continuità e globalità. E’ presente come contenuto, ma anche nella forma, nella struttura dialogica; la Parola è capace di interpretare l’intero ambito esistenziale. Da un sacramento che era stato ridotto a forma, materia e ministro, oggi, con l’aiuto della Parola in ciascuno di essi si coglie il piano di salvezza e il grande dialogo della vita con Dio. C’è un passaggio, forse ancora troppo lento dalla forma verbale alla forma rituale; questa ha ancora un suo esagerato prevalere, con il rischio di lasciar fuori ancora la Parola (cfr sacramento della penitenza).

Quali sono i cambiamenti che ci si deve aspettare di elaborare con più decisione?

Una novità così grande ha un limite oggettivo e incolpevole: sono solo passati 50 anni dal cambiamento. La novità è di tale portata che per riscrivere i sacramenti e la liturgia, nucleo essenziale di una vita cristiana, e con essi la vita quotidiana, che da secoli camminava diversamente, occorre veramente un impegno lungo, progettuale e costante. C’è una inerzia naturale da vincere, ma anche una mancanza di lucidità dei soggetti della vita cristiana (preti, vescovi, laici, catechisti) da superare. La forma della liturgia non si lascia ancora ben segnare dalla Parola di Dio.

1. Le forme dell’ascolto.

Il primo impegno è quello di valorizzare e rieducare alle forme dell’ascolto, della riflessione e della meditazione sulla Parola di Dio. Abbiamo una pastorale ancora troppo verbosa, troppo legata ai vari linguaggi, invece occorre lavorare sulle forme dell’ascolto. Come si deve poter ascoltare la Parola di Dio nella celebrazione eucaristica, nella celebrazione dei sacramenti? Che atteggiamenti devono assumere i fedeli che li vivono, che relazioni comunitarie devono vivere? Che preparazione devono premettere? Che aiuto vicendevole devono darsi, che cosa devono chiedere allo sviluppo della stessa celebrazione? Come deve essere giustamente proclamata la Parola di Dio perché ne segua un ascolto fedele? E’ il livello da privilegiare nella iniziazione cristiana. Iniziamo alla prima comunione nella logica di un secolo fa. Iniziare alla prima comunione è iniziare a tutta la messa a cominciare dall’ascolto della Parola, che è parte integrante di essa.

2. La cura della comprensione della Parola.

Papa Francesco ogni giorno concelebra con i collaboratori o gli invitati a Santa Marta e tiene l’omelia. Un gesto che non sarebbe comprensibile se non a partire dal Concilio, se una Parola che è data non debba essere accolta dalla vita di chi vi partecipa. Dare priorità alla Parola significa accoglierla dalle scritture e confrontarla con la vita delle persone, cogliendone l’ispirazione nel contesto della loro professione, vita, problemi. L’omelia ad ogni messa è parte integrante del rito, non è un optional rispetto al ruolo della Parola.

3. Una modalità seria e corposa di iniziazione alla Parola.

E’ Parola parlata, ascoltata, deve tornare alla forma orale, con una corretta proclamazione e ascolto. In chiesa la Parola, va proclamata non solo letta a qualche maniera. Non abbiamo categorie per iniziare all’ascolto, che va fatto assieme, non ciascuno con gli occhi su un foglietto, quasi a verificare se quello che si sente vi corrisponde. Si procede per gradi, non la si dà mai per scontata quasi fosse la lettura di un notiziario o di un telegiornale. I due discepoli di Emmaus ascoltavano in forma coinvolgente e aperta il viandante Gesù che si era accostato loro e spiegava le scritture. Tanto che dicono: non ci ardeva il cuore in petto, mentre ci spiegava le scritture?

4. Correlazione tra simboli biblici e liturgici.

Infatti si danno forza l’uno con l’altro, la Parola, il rito e la vita e fanno dell’ascolto comune una virtù acquisita. Che forma di vita assume l’ascolto della Parola? Come rappresenta e propone il cambiamento della vita? Che premesse pone nella celebrazione perché sia proprio la vita ad essere interessata al cambiamento, che simboli assume per celebrarne la comprensione, la decisione di agire secondo al Parola?

5. Ascoltare l’esperienza religiosa delle persone.

La Parola si mescola, dialoga con le parole degli uomini. Dice Agostino: sulla sua bocca sentiamo le nostre voci e sulle nostre sentiamo la sua voce. Occorre far entrare quel linguaggio nelle nostre percezioni di vita autentica e nella narrazione delle esperienze che ne seguono. Le forme sono mediazioni perché la Parola entri nella nostra vita. Le forme sono le soglie necessarie per passare alla vita. Abbiamo bisogno di forme senza formalismi.(Grillo)

 

Parola e carità.

Occorre che siano trasparenti le finalità profonde che ci mettono quotidianamente a servizio e non basta il titolo di volontari o operatori dedicati, ma si richiede di avvertire che vi è una relazione profondissima con coloro che si vorrebbero incontrare e la Parola che ci evidenzia che in quel volto vi sta l’incontro con il Signore Gesù.

Questa Parola entra doverosamente in dialogo profondo con quelle che il Papa Francesco ha chiamato “le periferie esistenziali”, i confini, gli incontri di chi ha sete, fame, è in carcere, povero, bisognoso di cura. La carità non è primariamente un’azione di aiuto, ciò che la fa vivere è la Parola e le parole che provengono da questi volti, questi poveri, queste situazioni di povertà estreme. Ogni opera cristiana si deve porre in dialogo per ascoltare questa potente e chiara Parola di Dio che viene dalle parole di questi uomini.

La carità non è una azione conseguente a un approfondimento teorico, ma l’ascolto delle parole degli uomini che invocano speranz; non nasce solo dalla formazione o dai corsi per volontari, ma da una dilatazione del cuore, da domande profonde fatte alla fede che vengono dalle loro vita condivise.

La comunità cristiana degli Atti era comunione di vita vera. Il diaconato della carità diventa ministero perché gli apostoli erano sommersi da questa condivisione e si correva il rischio di non avvertire e meditare la Parola, di essere sommersi dall’operosità che non è in discussione, ma che non può non essere alimentata dalla contemplazione e ascolto della parola che ci permettono di stare in comunione e di essere presenti e testimoni della buona notizia del Vangelo.

La dimensione contemplativa è essere continuamente interrogati dalle vicende di questi poveri concreti; è un silenzio interrogante; è decisione di ascolto religioso delle loro vite.

C’è un altro movimento necessario proprio perché percepiamo le loro parole come completezza della Parola di Dio, delle sacre scritture: la nostra carità che ne nasce deve essere una parola e un annuncio a tutti della sapienza nuova del vivere. La carità diventa una parola nuova alla società, è l’altra parte obbligatoria, il dialogos che completa la scrittura, il logos.(Colmegna)

 

La fecondità spirituale della Parola per la vita del cristiano.

Una fede matura ha bisogno della Parola, “ignorare le scritture è ignorare Cristo”; alcune involuzioni ancora trattengono il cammino spirituale delle persone, si tratta di forme sensazionali di esperienze religiose, ritornano senza esserne illuminati vecchie preghiere, coroncini, novene, digiuni, adorazioni eucaristiche. Noi affermiamo senza se e senza ma che senza la Parola di Dio non è possibile essere cristiani.

1. Noi ci siamo perché qualcuno ha detto una parola e siamo venuti all’esistenza. Le cose e le persone create sono parole di Dio. E’ la parola che costruisce la realtà. L’uomo è una parola pronunciata dal creatore e con essa viene mantenuto in vita.

2. La comunità stessa è frutto di una parola a lei dedicata. Così cominciò ad esistere un popolo di Dio, qahal di Dio, una ecclesia, una chiamata. Ciò che fa essere una comunità è una Parola rivolta a tutti; il gruppo di amici, l’associazione, è chiamata non è soprattutto sfizio del tempo libero o banda per sopravvivere, ma siamo chiamati da una Parola ad essere comunione.

3. In essa esistono cammini personali tutti frutto di una parola, di una vocazione. Così lo furono Abramo, Mosè, gli apostoli, le singole persone con la loro storia. All’origine quindi di ciascuno c’è una parola.

Per dare concretezza di progetto a un cristiano che vuole crescere nella fede e nella esperienza cristiana , che vuol fare un cammino di santità, ecco le sfide che oggi ci vengono lanciate:

• Assumere la fatica di accostare, studiare sviscerare un testo, rompere il guscio in cui è nascosta la parola, senza cedere a facili approcci miracolistici.

• Educare a discernere i fatti della vita ispirati dalla Parola. Il discernimento non è frutto di approssimazioni per arrivare al buon senso, ma di ascolto attento, di interpretazione comunitaria, di apertura al nuovo che porta la parola.

• Pregare con la Parola; solo la scrittura rende la preghiera cristiana e solo essa ne è la sorgente. Nella preghiera si comprendono anche quelle parti della parola che sembrano cozzare con la mentalità evangelica, proprio perché ci rappresentano la nostra vita intera con il male che sempre la vuole attraversare.

• Assaporare nella scrittura una intimità profonda con il Signore. La Parola deve diventare contemplazione estatica, potenza significativa, esperienza spirituale.(Chialà).

 

Dagli approfondimenti dei focus.

Dato per appreso che siamo grati a Dio che il Concilio ha chiuso il tempo dell’esilio della Parola, occorre investire energie, talvolta nuove (cfr il nuovo protagonismo laicale nell’annuncio della Parola) nell’aprire un cantiere per costruire la casa della Parola, che è la Chiesa e di lavorare a quattro pilastri portanti:

1. Parola e insegnamento degli Apostoli

La Dei Verbum ci offre uno stile fatto di otto parole che descrivono come rapportarsi all’esperienza della Parola: ascoltare, leggere, meditare, gustare, amare, celebrare, vivere e annunciare in parole e opere. Il soggetto è la Chiesa, il popolo di Dio, soggetto e testimone. La Parola è la persona vivente che è Cristo la piena autorivelazione di Dio. Ne nasce una passione per l’annuncio che Gesù illumina il valore e il senso della realtà creata, dell’uomo e del popolo di Dio (le tre parole primordiali di Dio). Il percorso obbligato è di passare sempre da queste parole alla Parola che è Gesù, che diventa una chiave di interpretazione e che deve essere a disposizione di ogni persona aprendole infiniti spazi di vita. Il messaggio biblico allora è un dono e abbiamo coscienza che il dono è già nella storia. Tre piste concrete di lavoro sono: l’educazione a mettere al centro la bibbia la catechesi come strumento e non fine l’omelia come atto celebrativo nella comunità e della comunità.

2. Parola e liturgia.

Non c’è solo annuncio del dono, ma anche la risposta di Cristo e della chiesa. Le due mense: quella della parola e quella del pane sono un unico atto di culto, in riti e gesti che non abbiamo creato noi e che vanno interrogati con un linguaggio che ha il sapore della vita e della speranza.

3. Parola e preghiera. La liturgia eucaristica non è l’unica preghiera fatta dalla Parola di Dio, ne devono essere celebrate molte altre, senza ritornare alle preghiere emotive soltanto. Comunità senza presbiteri che celebrano l’Eucaristia crescono; occorre predisporre vive liturgie dove la Parola è come se risuonasse nella liturgia eucaristica. La scelta forte del Concilio delle ore diurne va approfondita, sostenuta e colorata delle varie persone che le vivono.

4. La comunione fraterna.

Il senso della vita che la Parola scava e fa scoprire non lo si trova ripiegandosi su se stessi, ma nell’esodo da se, nell’amore. Ci consegniamo a Dio e Lui ci apre agli altri. Se siamo discepoli di un’unica Parola le nostre divisioni perdono di importanza. Il silenzio è il prezioso frutto della Parola e ci apre al silenzio dell’attesa e ci rende capaci di discernimento riportando i nostri desideri al desiderio fondamentale della salvezza.(Mastantuono)

La Parola di Dio scritta esige un trascendimento della lettera; è come uno spartito che non si gusta affatto se non c’è una orchestra che lo traduce in suoni, uno Spirito che ti muove a gustarla, una assemblea liturgica che la rende viva e la comunica interiormente e a tutta la comunità.(Pitta)

 

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